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EX TEMPORE

Studio Desmos2021-01-23T13:50:14+00:00

La scuola: un laboratorio  per restituire dignità al contatto

 

“Per crescere è indispensabile sentire di appartenere a qualcosa e a qualcuno:

un amore, un’ideologia, una bandiera, una fede, un amico,

un maestro, un mito”

P.Crepet

 

Sara (nome di fantasia), va in terza superiore, spesso arriva in studio con gli occhi di chi ha dormito male. Con parole semplici mi racconta della sua scuola che, nonostante abbia i muri malconci, è bella perché piena di  tavole e disegni degli altri studenti.

“Una volta – mi racconta sorridendo – un ragazzo  di quinta, aveva fatto un dipinto rappresentante una coppa di fragole e panna,  sconvolgente per quanto sembrasse vero. Tutta la scuola si era messa a guardarlo all’intervallo”.

A Sara e Paola, sua amica, manca immensamente la scuola, si addormentano in video chat a tarda notte, dopo aver fatto delle tavole in cameretta, connesse e in qualche modo, insieme.

 

Il desiderio nostalgico di Sara riesce a  sopravvivere anche  grazie alla scuola virtuale che, con i suoi sforzi, continua a  presidiare il diritto all’istruzione. La didattica a distanza ha dato avvio ad una rivoluzione digitale di cui la scuola necessitava e ha permesso realmente, durante il primo lockdown, il contatto con e tra i ragazzi. La D.A.D. è diventata quindi un valido strumento, ma tende, a causa della sua natura virtuale, a far scivolare la dimensione educativa sullo sfondo. Alla luce di ciò sono comprensibili le manifestazioni in strada e nelle scuole, di studenti, insegnanti ed educatori che richiamano , come possono, le attenzioni delle istituzioni.

Sono infatti dodici mesi che i ragazzi si trovano ad abitare spazi virtuali fatti di pixel, connessi, ma senza contatto, in aule senza pareti. La r-esistenza in questi non luoghi affievolisce e/o spegne il desiderio di scoperta e di contatto con l’altro. Questo spegnimento porta con sé l’impossibilità di nutrire e sviluppare il mondo interno fatto di emozioni e sentimenti. Il sano e istintuale bisogno adolescenziale di “ muoversi in cerca di sé”, subisce una brusca frenata e rimbalza tra le mura delle loro camerette (per chi può stare in cameretta).

Le emozioni che attraversano gli adolescenti non trovano un luogo altro dove essere espresse, non esiste legame in cui essere abbracciate, nei peggiori dei casi non trovano neanche un nome con il quale definirsi. Amore, rabbia, tristezza, gelosia, paura e le mille sfumature emotive sono confuse tra loro e si mescolano in un groviglio unico. Tutto si accende gravosamente, i “pensieri non pensati” strillano nella testa, graffiano nella pancia e i muscoli si irrigidiscono.

Il vuoto e cioè l’assenza di legami vivibili e attraversabili, fa divampare l’angoscia e l’angoscia porta con sé rabbia, quest’ultima spaventa e spinge alla violenza, come il bimbo che arrabbiato , offeso, minacciato e spaventato spinge un altro bambino.

In alcuni casi, l’angoscia dirige il ragazzo alla necessità di sentirsi vivo, di sentire qualsiasi cosa, sfregiandosi il viso o rispondendo alla chiamata social per la rissa, nel forte desiderio di essere considerato e considerarsi importante, visto e riconosciuto dal gruppo.

In altri casi l’angoscia gela il pensiero e confina i ragazzi in dimensioni  virtuali solitarie che ovatta tutto, l’ansia sembra così congelata, anestetizzata temporaneamente. La priorità è stare immobili e così le giornate vengono trascorse in casa, trovando solo minime interazioni. 

Sembra che per molti: piccoli, ragazzi e adulti, tutto questo groviglio possa rispondere solo ed unicamente all’etichetta di “ansia”: un termine che oltre ad essere generico e fuorviante, può risultare anche pericoloso. Perché le etichette non raccontano i fenomeni nella loro interezza ed annullano la specificità di ciascuno. Il bisogno di classificare i nostri sentimenti in qualcosa di patologico come un disturbo, un attacco di panico, uno stato di ansia, può generare l’illusione che miracolosamente, eliminato il disturbo, tutto possa tornare nella normalità. Le emozioni invece richiedono tempo per essere scoperte, nominate, elaborate e digerite, e questo può avvenire solo all’interno di una relazione con un altro.

Ecco l’importanza estrema del ritorno a scuola. Il bisogno urgente che le istituzioni prendano in carico tutti i ragazzi, vulnerabili e meno vulnerabili, parte dall’indispensabile necessità di non abbandonare nessun ragazzo, senza strumenti e senza quei contatti minimi indispensabili per provare a dare nome alle emozioni. La scuola deve essere vissuta nella forza contenitiva dell’educare in presenza e diventare pertanto il laboratorio dove allenarsi a stare in contatto con gli altri.

La scuola, con le sue lezioni, con gli incontri fatti di corpi, di sguardi, di sensazioni e di saperi, non può essere l’assente di questo tempo. La didattica a distanza, con i suoi innumerevoli meriti, deve cedere il posto al rientro, in sicurezza, alla normalità. I ragazzi, con le loro innumerevoli e talvolta scomposte modalità ci interpellano, chiedono a noi adulti di farci carico di questo tempo che rischia di diventare un tempo vuoto, un tempo “che sembra che tutti i miei giorni belli sono risucchiati”. 

 

Chiedo a Sara, di farmi vedere qualche suo lavoro. Lei sceglie di farmi vedere le sue tavole “ex tempore”. Mentre me le illustra, mi spiega che rispondere alla consegna degli ex tempore, non è la stessa cosa che fare un bozzetto. Il bozzetto – dice – lo puoi rivedere, lo puoi cancellare e rifare mille volte, nella tavola ex tempore invece  non hai sempre una seconda possibilità, devi lanciarti, devi vivere e realizzare qualcosa nel momento, senza paracadute, ma sai che se ci riesci, il risultato è vero, è bello, è tuo. 

 

Speriamo dunque che Sara possa tornare presto sui banchi a vivere tutti i possibili legami ex tempore, a scuola e fuori.

 

Nella foto una tavola di Sara che ringraziamo molto.

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