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Genitori a bordo campo, in squadra per vincere!

Studio Desmos2019-02-27T01:20:28+00:00

“Ma Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore
Non è mica da questi particolari
Che si giudica un giocatore
Un giocatore lo vedi dal coraggio
Dall’altruismo e dalla fantasia.
”      

La leva calcistica del ’68, Francesco De Gregori.

A cura di Dottor Mattia Lamberti

 

Fin dalla scuola dell’infanzia avviciniamo giustamente i bambini e le bambine all’attività sportiva, con innumerevoli benefici dal punto di vista fisico, psicologico ed educativo.

Durante tutta l’infanzia e in adolescenza lo sport gioca un ruolo fondamentale nella costruzione delle relazioni dei ragazzi, nella loro capacità di sentirsi apprezzati e competenti e nella costruzione della propria identità.

In questo percorso di lotte e sfide, di vittorie e di sconfitte un compito fondamentale è svolto dai genitori dell’atleta, che hanno il compito di comprendere il proprio ruolo e di “giocarlo al meglio” nell’interesse del proprio figlio. Diverse ricerche italiane ed internazionali, dimostrano il ruolo centrale rivestito dai genitori nella costruzione di atteggiamenti positivi e nel clima della squadra in cui sono inseriti i propri figli, vedremo ora nel concreto come possiamo imparare ad essere dei buoni “genitori a bordo campo”.

Lo sport deve divertire. I ragazzi prendono molto seriamente la loro attività sportiva, ma questa deve sempre restare un’occasione di svago e di “pausa” da impegni più gravosi. Lo sport non è necessariamente il futuro lavoro dei vostri figli e non è nemmeno il loro unico obiettivo. Per alcuni è un sogno che va compreso, accolto e rispettato, ma dandogli la giusta importanza. Se smette di essere divertente e piacevole resta solo una grande fatica svuotata di senso.

L’avversario è il miglior allenatore di tuo figlio.  La parola competizione deriva dal latino cum-petere (dirigersi insieme verso). L’avversario è colui che mi permette di migliorarmi, un competitore con cui avvicinarsi alla meta, non un nemico da distruggere ma un avversario da rispettare e ringraziare per le sfide che costantemente mi pone. I record del mondo sono costantemente infranti e fissati alle Olimpiadi perché gli atleti stanno “cercando insieme”, sfidandosi, di migliorare le prestazioni. Al bambino non dovrebbe mai essere insegnato a vedere il suo avversario come il “cattivo”, il nemico o qualcuno da odiare e “distruggere”. Cosa si potrebbe fare di concreto? Ad esempio fare amicizia con i genitori degli avversari.

L’obiettivo finale dell’esperienza sportiva è sfidare se stessi e migliorare continuamente. Sfortunatamente, giudicare il miglioramento a partire dalle vittorie e dalle sconfitte è sia una misura ingiusta che imprecisa. Vincere nello sport significa fare il meglio possibile, slegandosi dal risultato ottenuto o dal gioco dell’avversario. I ragazzi dovrebbero essere incoraggiati a competere contro il loro potenziale. Quando l’obiettivo è giocare per migliorare se stessi invece che battere qualcun altro, l’atteggiamento degli atleti sarà più idoneo ad affrontare al meglio la sfida.

Il genitore è il principale supporter del proprio figlio, non l’allenatore in seconda. Nella squadra composta da atleta,genitori e allenatore ognuno deve svolgere al meglio il proprio ruolo. Il genitore incoraggia, esulta, lascia spazio al ragazzo quando deve “sbollire”, ma mai si sostituisce all’allenatore.

L’allenamento e la partita sono due momenti ben distinti. E’ fondamentale che allenatori e a maggior ragione genitori, sappiano astenersi dall’ allenamento in tempo reale. Durante la competizione, è ora di lasciar giocare la squadra. Tutta la formazione “tecnica” dovrebbe essere messa da parte, perché questo è il momento in cui gli atleti hanno bisogno di fiducia nella formazione e nelle scelte dell’allenatore. L’eccessivo indirizzo in questa fase dell’attività può portare, in molti casi, al fenomeno della “paralisi da analisi” un blocco di qualunque attività legato proprio alla difficoltà di assimilare le troppe informazioni presenti.

Il genitore fa le domande giuste. Se chiediamo a nostro figlio solo il risultato della sfida o della partita, se daremo attenzione solo al racconto dell’azione decisiva, insegneremo con il nostro atteggiamento che il vincere è la sola cosa che conta. Chiedere a nostro figlio se si è divertito, se ha capito quali strategie gli hanno permesso di affrontare la sfida, se ha rispettato l’arbitro e gli avversari, sarà uno strumento potente per far capire ai nostri ragazzi cosa veramente conta per noi, e insegnerà a vostro figlio un atteggiamento vincente, al di là del risultato della singola partita..

I nostri figli non sono le loro prestazioni, amiamoli incondizionatamente. L’errore più tragico e dannoso che vedo i genitori fare è punire un bambino per una cattiva prestazione sportiva, mostrandosi delusi, arrabbiati o ritirandosi emotivamente. Un bambino perde una gara, sbaglia un passaggio o una battuta e il genitore risponde con disgusto, rabbia e ritiro dell’approvazione. Non si chiede al genitore di far finta di nulla, di sorridere sempre e comunque, anche quando il proprio figlio fa un errore, ma ricordiamo continuamente loro, non solo a parole, che li amiamo comunque e a prescindere da ogni azione sportiva e non.

Lo sport è una porta d’accesso preziosa alle emozioni dei nostri figli. L’attività sportiva in generale e l’agonismo in particolare, sono occasioni di confronto e tematizzazione dei vissuti emotivi dei figli. Gioia, delusione, rabbia. Sono molteplici e intense le emozioni che attraversano l’atleta e tutte danno al genitore l’occasione di costruire una relazione più profonda ed empatica con i propri figli.

Quando il gioco si fa duro, i duri entrano in gioco.  Può capitare che la squadra o il singolo atleta stiano affrontando un momento di particolare fragilità o difficoltà. Un obiettivo molto importante, così come una competizione nuova, possono generare difficoltà di relazione fra gli atleti o fra atleti e genitori o ancora fra genitori e allenatori. In questi casi può essere importante l’intervento di un professionista che, fatta una precisa analisi dei bisogni, possa fornire le risposte più adeguate a ciascuno.

 

 

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